Un ritorno
Un nuovo inizio
Un tempo sospeso
Da attraversare

 

Verde e Ombra
Verde e Ombra
Verde e Ombra
Verde e Ombra

 

Stare con la sensazione che qualcosa si è sgretolato, che non è più come prima ma bisogna proseguire. Piano. Lentamente. Tengo per me le sensazioni più scure ed entro nello spazio che è prima di tutto di condivisione. Sono accolto dal verde, dal risuonare delle foglie leggere, dal fresco, dai giochi di luce del sole estivo. E poi le voci, la calma, gli sguardi che dicono sì. Sento che c’è una fragilità più esposta. In comune. Finalmente.
Accedere ad un luogo con rispetto, silenzio, sorpresa.
Quale possibilità di movimento mi concede? Che libertà c’è oggi tra emozione e mobilità? Tra quello che sento nella schiena e le sensazioni più interne?
Sole erba ortiche caldo zanzare tremore ricerca di più solidità nelle gambe equilibrio.
L’intento è attenuare le sensazioni. Sento sempre troppo densamente. Provo a stare più leggero e sfocio nel distacco.

 

Verde e Ombra
Verde e Ombra
Verde e Ombra

 

Essere autentico
Danzare autentico
Vedere i colori

Sentire l’erba alta che le gambe incontrano, il terreno che i piedi calpestano, la maggiore forza richiesta al movimento. Osservare le forme e le dimensioni delle piante. Le energie vegetali. Il verde intenso fresco giovane delle ortiche da poco spuntate nutre. Le piante creano zone, territori da attraversare, in cui giochiamo insieme ad essere insetti. La vita si svolge, prosegue tranquilla in un’attività silenziosa e in qualche modo neutra. La Natura non chiede. Non attira. Non respinge. Il corpo è attraversato dalla luce, dal calore. Mi muovo sospeso tra quello che arriva da fuori e quello già presente dentro. Muovere l’aria, farsi muovere. Gestire la sensazione interna tra mente e immediatezza. Togliersi dal corpo per dar modo ad un altro fenomeno di abitarlo. Tentativi di essere vento. Tenere la memoria del percepito stretta ad una mente che si sente convalescente.

 

CIELO
Luce luce luce
Celeste
Altezze
Verde e ombra
Forme diverse
Grandezze diverse
Giungla
Toccare
Raggiungere
Spaziare
Navigare
Direzionarsi in un altro tempo
Solo in alto
Verde e Ombra

 

ANIMALI
Volare e sparire in un attimo
Arrivare, posarsi e decidere di andare via all’istante
L’istante dopo più niente
Moto continuo
Battito di ciglia
Perseverare
Andare dove ho deciso di andare
Antenne
Flessibilità
Continua osservazione
Rapidità
Viaggiare come scintille
Fruscio
Vivacità
Verde e Ombra

 

Cammina e non si ferma. Segue il percorso del tronco sul bordo della corteccia. A testa in giù prosegue continuando a creare una strada che non conosce. Scende fino alla base del tronco. Camminano instancabili tra le foglie, steli e rametti. Sopra e sotto.
Ha una coda e porta con sé il rumore per sparire e non farsi vedere più.
Grande flessuosa. Composta da più parti che si articolano per muoversi.

 

Verde e Ombra
Verde e Ombra
Verde e Ombra

 

A tratti capita. Sono istanti ma accade, di essere nel movimento e in quello spazio/tempo soltanto. E quando penso a cosa ho sentito, a come è andata, a cosa ho provato, non lo so. Era solo movimento. E non ho voglia di sentirmi stupido per non capire. A volte succede che la consapevolezza possa arrivare in differita, magari ore dopo quando la mente vaga libera e ritorna sulla giornata trascorsa o si riaffaccia sul passato. Mi manca una mente che vaghi spontanea, a briglia sciolte, leggera, con fiducia. Il sistema nervoso ringrazierebbe.
C’è l’upupa che arriva tranquilla mentre siamo seduti a parlare.
C’è il fiato che aumenta e non si quieta.
C’è una conversazione prima di incominciare che mi imbarazza e mi rallegra al contempo.
Ci sono alberi dietro cui nascondersi.
Ci sono sassi che cadono perché messi in parti del corpo insostenibili.
C’è la freschezza che trasmette chi tiene insieme.
C’è la gioia di una apertura da attraversare con cautela.

 

Verde e Ombra
Verde e Ombra
Verde e Ombra
Verde e Ombra

 



Appunti e riflessioni a seguito della performance SPECIE DI SPAZI a cura di Marianna Miozzo
con Elena Biagini, Paola Martello, Riccardo Ronzoni, Linda Zoni voce Stefano Vercelli.
DRAMA TEATRO - Modena.
Progetto "Frequenze. Corpi e voci di comunità" 25 agosto 2020.
Le immagini della performance sono a cura di Dante Farricella per gentile concessione.

 

 

Pelle a pelle

Questa mattina ho fatto un incontro speciale. In un nido, per il progetto movimento-inglese.
Entro nel salone dove alcuni bambini stanno giocando. Faccio sì e no tre passi. Vedo un bambino pakistano o indiano. Lo saluto, lui mi viene subito incontro. Mi abbasso verso di lui e con le sue mani inizia a toccarmi il viso, vicinissimo, pelle a pelle. Poi i capelli. Con una intimità a cui non è servito nessun tempo per crearsi. Magia!
Io sono lì. Per lui. Per me. Lascio fare, non chiedo, non conduco. Lascio tempo all’incontro.
Io resto lì. Spostato sulla pelle. Lo lascio esplorare. Ascolto la punta delle sue dita muoversi e cercare. Accetto le carezze, accetto la sua ricerca di contatto. Con lo sguardo si avvicina al mio, fino a che la mia visione diventa offuscata. Rimaniamo lì, su quella superficie, in ascolto.
Mi ha seguito per un bel po' durante la mattina. Sempre molto dolce e sempre con il bisogno di toccare e sentire il contatto. Bellissima emozione per me. Nella semplicità, che è in noi Bambini.
La pelle ci contiene, racchiude, custodisce. È confine del nostro corpo e prima frontiera che ci presenta al mondo. Fin dalla nascita i bambini hanno un bisogno vitale ed imprescindibile di essere toccati, abbracciati, custoditi, per sviluppare la percezione di sé, dei propri confini corporei e delle possibilità di movimento. Allo stesso modo, per conoscere, i bambini, hanno bisogno di toccare. È nelle loro mani che prende forma un primo sviluppo cognitivo, emotivo, linguistico e psicologico.
A questo proposito vogliamo ricordare FRÉDÉRICK LEBOYER e il suo libro “INNER BEAUTY, INNER LIGHT” e la necessità di ogni essere umano di contatto e di una comunicazione fisica profonda.

 

NON HO BISOGNO DI TEMPO PER SAPERE COME SEI: CONOSCERSI E' LUCE IMPROVVISA!   Pedro Salinas

Parole vibranti quelle che Rudolf Nureyev ci ha lasciato in questo testo. Testimonianza del suo immenso amore per la danza.
Chiunque può trovarvi ispirazione. Chiunque può essere toccato dalle forti emozioni che emergono tra le righe.
Raccontando della danza Nureyev arriva dritto alla vita, portandoci con sé, in quello spazio di universo dove i suoi piedi erano capaci di arrivare.

nureyev-sorriso

“Era l’odore della mia pelle che cambiava, era prepararsi prima della lezione, era fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza. Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe consunte ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, a fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, niente, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi. Ma a me non interessava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, mi era impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare passi nuovi.
nureyev-mezzobustoOgni giorno mi alzavo con il pensiero del momento in cui avrei messo i piedi dentro le scarpette e facevo tutto pregustando quel momento. E quando ero lì, con l’odore di canfora, legno, calzamaglie, ero un’aquila sul tetto del mondo, ero il poeta tra i poeti, ero ovunque ed ero ogni cosa. Ricordo una ballerina Elèna Vadislowa, famiglia ricca, ben curata, bellissima. Desiderava ballare quanto me, ma più tardi capii che non era così. Lei ballava per tutte le audizioni, per lo spettacolo di fine coso, per gli insegnanti che la guardavano, per rendere omaggio alla sua bellezza. Si preparò due anni per il concorso Djenko. Le aspettative erano tutte su di lei. Due anni in cui sacrificò parte della sua vita. Non vinse il concorso. Smise di ballare, per sempre. Non resse la sconfitta. Era questa la differenza tra me e lei. Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Io ballavo perché solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Io ballavo ed ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi alle sei del mattino, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.
Ero povero, e sfilavano davanti a me ragazzi che si esibivano per concorsi, avevano abiti nuovi, facevano viaggi. Non ne soffrivo, la mia sofferenza sarebbe stata impedirmi di entrare nella sala e sentire il mio sudore uscire dai pori del viso. La mia sofferenza sarebbe stata non esserci, non essere lì, circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell’arte può dare. Ero pittore, poeta, scultore. Il primo ballerino dello spettacolo di fine anno si fece male. Ero l’unico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in silenzio ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vestiti, nuovi, brillanti e mi dettero dopo tredici anni, la responsabilità di dimostrare. Nulla fu diverso in quegli attimi che danzai sul palco, ero come nella sala con i miei vestiti smessi. Ero e mi esibivo, ma era danzare che a me importava. Gli applausi mi raggiunsero lontani. Dietro le quinte, l’unica cosa che volevo era togliermi quella calzamaglia scomodissima, ma mi raggiunsero i complimenti di tutti e dovetti aspettare. Il mio sonno non fu diverso da quello delle altre notti. Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana all’orizzonte. Da quel momento la mia vita cambiò, ma non la mia passione ed il mio bisogno di danzare.
Continuavo ad aiutare mio padre nei campi anche se il mio nome era sulla bocca di tutti. Divenni uno degli astri più luminosi della danza. Ora so che dovrò morire, perché questa malattia non perdona, ed il mio corpo è intrappolato su una carrozzina, il sangue non circola, perdo di peso. Ma l’unica cosa che mi accompagna è la mia danza la mia libertà di essere. Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore. Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire.
nureyev-ballerino

Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita.
Non essere ballerino, ma danzare.
Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera.
È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità. Io sto morendo, e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita…


piede-ballerino  

SHEN WEI DANCE ARTS

"RE-(PART I)"


"RE-(PART I) è prevalentemente basato sui sentimenti suscitati dalla terra, dalla gente, dalla religione e dalla cultura tibetana che hanno caratterizzato i miei recenti viaggi". Shen Wei

Piccoli pezzi di carta bianca e blu formano un grande Mandala che copre l'intero palcoscenico. I danzatori portati da movimenti fluidi ed intensi scompongono il disegno come si usa fare in Tibet per rappresentare la fugacità delle cose, un esercizio che ha l'obiettivo di rendere l'uomo consapevole che tutta la vita esiste soltanto nel qui e ora. Una distruzione rituale al ritmo del loro respiro spinge i danzatori in una danza mistica e circolare scandita dai canti buddisti tradizionali interpretati dal monaco tibetano Choying Dolma.

 

 

 ADF



I Mandala (termine che in sanscrito significa Cerchio) sono figure geometriche dotate di una potente carica simbolica e terapeutica. La filosofia orientale li intende come rappresentazioni dell'universo, la psicologia occidentale li interpreta come raffigurazioni spontanee dell'inconscio: disegnare un mandala, o anche solo colorarlo, diventa allora un modo per esprimere se stessi, liberare la propria fantasia, scrutare il proprio mondo interiore.

Nella cultura indo-tibetana, il mandala è una forma geometrica che raffigura l'ordinamento del mondo, il gioco delle forze che in esso operano e che si ritrovano anche all'interno di ciascuno di noi. Nelle pratiche religiose orientali il mandala è soprattutto uno strumento per la meditazione e la concentrazione.

“Mi fu sempre più chiaro che il mandala è il centro, è l'espressione di tutte le vie, è la via dell'individuazione„ C.G.JUNG

Nella nostra cultura è stato sopratutto lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung a occuparsi dei mandala. Egli ha scoperto che essi sorgono spontaneamente sotto forma di immagini interiori, come tendenza della psiche all'autoguarigione, soprattutto in situazioni di forte confusione psicologica, come, per esempio, nella psicosi e nelle nevrosi.
Il crescente interesse che si osserva oggigiorno per i mandala e la loro più frequente comparsa nell'arte e negli esercizi di meditazione possono essere interpretati come reazione a un'epoca che si smarrisce sempre più nell'esteriorità e lascia insoddisfatte le anime degli uomini.

 

 

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“Il Mandala è movimento, è la ruota della vita, la raffigurazione dell'universo, sorge continuamente dal centro, tende all'esterno e al tempo stesso dal molteplice converge verso il proprio centro. Ogni essere umano riconosce questo modello fondamentale poichè lo porta in sé„ R. DAHLKE

 

da "Mandala, Le figure del mondo interiore" di Rüdiger Dahlke

 

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SHEN WEI coreografo, regista, ballerino, pittore, designer e fotografo è famoso per la sua visione interculturale e interdisciplinare della rappresentazione.
Shen Wei è nato a Hunan in Cina nel 1968. Figlio di artisti dell’opera cinese, ha lasciato la sua città natale a 9 anni per studiare la musica e la calligrafia tradizionale. Grazie agli studi sul’arte visiva occidentale (dal neo-classicismo al surrealismo e all’espressionismo astratto) ha elaborato una particolare sensibilità nei confronti della danza moderna come ideale espressivo. Nel 1989 Shen Wei si è trasferito a Guangzhou per studiare danza moderna e coreografia all’Accademia di danza. Nel 1991 ha fondato la Guangdong Modern Dance Company, prima compagnia di danza moderna cinese, dove ha lavorato come interprete e coreografo. Nonostante la fama internazionale ottenuta con questa compagnia, il giovane coreografo era alla ricerca di nuovi spunti.
Nel 1995, grazie alla possibilità di trasferirsi a New York per studiare con il Nikolais/Louis Dance Lab, il ventiseienne coreografo ha deciso di incominciare una nuova vita in occidente. I cinque anni successivi hanno gettato le basi di una carriera internazionale che continua fino a oggi.
Nel luglio 2000 ha fondato la Shen Wei Dance Arts debuttando con “Near the Terrace” all’American Dance Festival. Ben presto la compagnia è entrata a far parte del circuito internazionale della danza e negli ultimi otto anni è stata in tournée nei cinque continenti. Oltre alla coreografia, Shen Wei si occupa normalmente anche dell’ideazione delle scene, dei costumi e del trucco delle sue creazioni.

 

ALEKO
coreografia di Sidi Larbi Cherkaoui e Damien Jalet
creato e danzato da Alexandra Gilbert e Damien Jalet

 

 

 

“Aleko” è stato creato nel marzo 2006 presso il Museo d’Arte Contemporanea di Aomori in Giappone. La coreografia è liberamente ispirata al romanzo di A.S. Puškin “Gli Zingari” che racconta la tragica storia di Aleko, un esiliato Russo che, per passione, arriva ad uccide la propria compagnia, una volta scoperto il suo tradimento. In maniera a volte sottile, a volte complessa, Sidi Larbi Cherkaoui e Damien Jalet reinventano questa storia mettendo a confronto alcuni elementi folkloristici dei Balcani con elementi culturali e mitologici giapponesi.
Il tema della libertà, dell’esilio e della perdita della persona amata sono conservati e reinterpretati in una coreografia fluida, molto fisica e carica emotivamente.

 

SIDI LARBI CHERKAOUI nasce in Belgio, ad Anversa da padre di origini marocchine. Si forma presso la scuola P.A.R.T.S. diretta da Anne Teresa De Keersmaeker, la coreografa della compagnia Rosas. Nel 1995 vince il primo premio nel concorso “The Best Belgian Solo” organizzato a Gand da Alain Platel. Successivamente aver danzato per Platel, incomincia a lavorare come coreografo affiliato per la compagnia Les Ballet C.de la B.. Nel 2001, presenta la sua prima coreografia “Rien de Rien” riscontrando subito il favore di pubblico e critica. Seguono i lavori “Foi”, “Tempus Fugit”, “Zero Degree” (in coppia con il coreografo Akram Khan), “Myth” e i più recenti “Sutra” e “Apocrifu”. Cherkaoui lavora con le più grandi compagnie e per i più grandi teatri europei, tra i quali il Grande Teatro di Ginevra e il Balletto di MonteCarlo, che gli commissionano coreografie. Adulato dalla critica internazionale, è considerato uno tra i più importanti coreografi della nuova generazione.


DAMIEN JALET nasce in Belgio. Frequenta un corso di teatro presso l’I.N.S.A.S. (Istituto Nazionale per le Arti Performative) a Bruxelles prima di approfondire i suoi studi di danza in Belgio e a New York. Nel 1998, debutta nello spettacolo di Wim Vandekeybus “The Day of Heaven and Hell”. Danza successivamente per coreografi come Ted Stoffer e Christine De Smedt. Nel 2000 incomincia un’intensa collaborazione con Sidi Larbi Cherkaoui all’interno della compagnia Les Ballet C.de la B.. Hanno creato insieme gli spettacoli “Rien de rien” (2000), “Foi” (2003), “Tempus Fugit” (2004) e “Myth” (2006). Nel 2003 Damien Jalet è stato proclamato Miglior Giovane Danzatore da "Le Ballet International".

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